Una scommessa e una possibilità vista con occhi diversi, ecco come è nata l’idea Longarico.
La scommessa di poter fare un grande vino con la varietà alcamese per eccellenza, il Catarratto, e la realizzazione del fatto che un terreno in cima al monte Bonifato e accanto alla riserva orientata “Bosco d’Alcamo” poteva proprio fare al caso loro.
Da qui, nel 2015, sotto l’occhio vigile dell’enologo Alessandro Viola, i cugini Sergio e Luigi Stalteri si avventurano in questo progetto che sin dai primi anni ha ottenuto grandissimi risultati per territorialità, altissima qualità ma soprattutto rispetto assoluto della natura.
La cantina si circonda di circa quattro ettari totali di terreni, situati a più di 350 metri sopra al livello del mare. L’azienda è completamente immersa nella natura incontaminata, in una zona che sembra essere totalmente estranea all’industrializzazione degli ultimi decenni.
Per mantenere questo incredibile equilibrio naturale e usufruire di tutte le caratteristiche organolettiche conferite agli uvaggi dal terroir, Sergio, Luigi e Alessandro hanno sposato fin da subito i principi dell’agricoltura biologica da applicare tra i filari dei loro vitigni. I terreni vengono lavorati e nutriti senza l’ausilio di additivi chimici o prodotti di sintesi, tra cui fertilizzanti e pesticidi, in modo da lasciare liberi gli uvaggi di arricchirsi autonomamente di tutto ciò che i terreni a composizione vulcanica della zona hanno da offrirgli.
Anche in cantina vengono svolte unicamente procedure di vinificazione spontanee e con soli lieviti indigeni; chiarificazioni e filtrazioni che precedono generalmente l’imbottigliamento sono completamente abolite in modo da offrire al consumatore un vino autentico e tipica espressione del territorio di origine, che non perde peculiarità a causa degli interventi esterni e che non subisce modifiche.
Seppur il viaggio di questa cantina sia partito con il solo scopo di rivalutare e di esaltare gli uvaggi di Catarratto, oggi le coltivazioni si sono estese anche ad altre varietà, tra cui il Syrah e il tipico Nerello Mascalese siciliano.
Le fermentazioni avvengono spontaneamente grazie a i lieviti indigeni e l’uso dell’anidride solforosa è ridotto all’osso.